domenica 11 marzo 2012

Dal Blog di Luigi Alici

http://luigialici.blogspot.com/2012/03/comun-i-care.html


Il libro di Anselmo Grotti invita, anche nel titolo, a collegare cura e comunicazione ("I care" riferito alla comunicazione come cura di ciò che è comune, prima ancora che agli strumenti di comunicazione). L'autore insegna Sociologia e Teoria della comunicazione presso l'Istituto superiore di scienze religiose di Arezzo e cura una rubrica sul sito Dialoghi.net.
Pochi libri riescono a dire tante cose, intrecciando continuamente il piano dell'informazione - precisa e ricchissima - sulla rivoluzione digitale in cui siamo immersi con un richiamo costante alla sfida educativa, che deve tener conto di che cosa significa crescere e vivere nella infosfera. 
Dal libro (presentato venerdì 9 marzo all'Istituto superiore di Scienze religiose di Arezzo) estraggo alcune affermazioni:
  • Rispetto alle generazioni più mature dei cosiddetti "immigrati digitali", per i "nativi digitali" «il lento apprendistato intellettuale, la sistematica lettura dei testi, l'ascolto ininterrotto di una argomentazione e di una dimostrazione sono non solo lontani ma spesso incomprensibili» (p. 8)
  • «Che cosa capirebbe della nostra terra un ipotetico abitante di un pianeta alieno, che avesse a disposizione i programmi televisi per fare uno studio su di noi? Forse non saprebbe quasi che esistono interi continenti, come l'Africa. Non saprebbe mai che esistono certi lavori, o certi modi di considerare la vita» (p. 22)
  • «L'intrattenimento trattiene, immobilizza, ripete ossessivo "non cambiate canale, restate con noi, rimanente nel limbo, non prendete decisioni". La formazione, la cura invitano all'autonomia: e-ducare, portar fuori» (p. 58)
  • «La comunicazione è un dato fondativo della persona umana», consente «la condivisione di un vero e propriopaesaggio mentale. Una interazione tanto ricca quanto fragile: affidata allo scandalo della libertà umana è in grado di ospitare parabole di condivisione ma è anche minacciata da manipolazioni e colonizzazione delle coscienze» (pp. 162-163)
  • «Il motto fascista era "me ne frego", un atteggiamento ben presente anche oggi. Don Milani insegnava che era meglio preferire il motto I care, "me ne importa". È il paziente processo della formazione, l'uscita dal sé, l'apertura all'altro, attraverso la comunicazione» (p. 166).

giovedì 4 agosto 2011

Etica della Comunicazione

Secondo una recentissima’indagine promossa dal Forum delle associazioni Familiari il tempo medio giornaliero, espresso in minuti, di utilizzo dei vari strumenti di comunicazione nella fascia tra 7 e 18 anni è il seguente:
Radio, cinema fumetti, libri: 50
Tv: 97
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 271
Nella fascia 15-18 anni è ancora più accentuata la prevalenza dei nuovi media digitali:
Radio, cinema fumetti, libri: 56
Tv: 99
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 455
Uno studente del triennio delle superiori guarda la tv per un’ora e mezza al giorno e sta sui media digitali quasi 8 ore. Dato per scontato che alcuni media si sovrappongono, resta il fatto che la punta massima di utilizzo di tutti i vari mezzi la si ritrova nei diciassettenni che passano in questi ambienti quasi 12 ore al giorno, cioè sostanzialmente l’intera giornata da svegli.
Tra le tante possibili considerazioni ne proponiamo tre.
La prima riguarda la pervasività dell’ambiente comunicativo mediato dalla tecnologia, un elemento ormai irrinunciabile dei nostri “paesaggi mentali”. Dovrebbe far riflettere il fatto che la partita decisiva per il controllo del consenso in ambito politico e sociale si manifesta attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione (stampa e televisione in particolare). Nel nostro Paese si è imposto un  oligopolio televisivo e poche galassie editoriali, con problematiche che rimandano anche ad aspetti giudiziari. Anche all’estero vediamo quanto sia attuale questa problematica: non solo chiude “News of the World” dopo una carriera plurisecolare, ma gli scandali dell’informazione manipolata trascinano con sé molte altre situazioni.
Al di là degli aspetti giudiziari - e molto prima di essi - si pone una questione culturale e di formazione. È importante stabilire regole di democrazia nell’ambiente fisico (abitazioni, strade, ospedali…), ma non meno importante è prendersi cura della “etica della comunicazione” (editoria, tv, internet, cinema, ecc.).  Dovrebbe essere evidente che non basta possedere un terreno (o i soldi per acquistarlo) per poterci costruire a proprio piacimento o svolgervi attività in contrasto con la legge e il bene comune. Allo stesso modo avere la disponibilità economica o politica non dà il diritto di manipolare i media per costruire e mantenere il consenso, o vendere in modo indiscriminato i propri “prodotti”.
La seconda considerazione riguarda il ruolo della scuola. Se un ragazzo che frequenta la quarta superiore dichiara di usare i media per 11,5 ore al giorno c’è da chiedersi non solo quando studia, ma anche cosa fa quando è “fisicamente” è presente a scuola e, probabilmente, non lo è con la mente. Si ha l’impressione che lo scarto tra l’impostazione delle nostre scuole e il mondo mentale degli studenti sia diventando sempre più grande. In questo mese il governo della Corea del Sud ha deciso la digitalizzazione completa di tutti i libri di testo e altro materiale didattico dal 2015, in tutti gli ordini di scuole. Non sappiamo se sarà una scelta giusta, esistono certamente pro e contro. Tuttavia è il segno che si avverte il problema. Certamente non basta fornire tutti gli studenti di un medium digitale ma neppure basta rifugiarsi nella difesa generica del libro cartaceo, condannandolo alla insignificanza. C’è un grosso lavoro da fare per permettere il passaggio da una civiltà all’altra.
La terza considerazione è per le famiglie e per le associazioni, anche ecclesiali. Esiste una grande questione educativa che rimane aperta e di cui non c’è adeguata percezione. Come sempre, la questione educativa non è relativa solo ai giovani, ma coinvolge prima di tutto gli adulti. Non basta trovarsi “amici” su Facebook per realizzare un autentico dialogo educativo o per essere all’altezza delle competenze richieste dalla “società della comunicazione”.
Sono tre sfide che non si possono affrontare con gli anatemi o con facili entusiasmi; è indubbio che richiedano impegno, studio, confronto, sperimentazione, verifica, spirito di collaborazione. Ci auguriamo che il contributo del corso di Etica della comunicazione, aperto a partire dal prossimo anno accademico presso l’Issr di Arezzo, possa andare in questa direzione.