venerdì 15 luglio 2011

Copyright o monopolio dell'industria dell'intrattenimento?

La Stampa

L'innovazione tecnologica sta imponendo nuovi modelli industriali, le catene del valore cambiano e cosa succede? Si risponde con l'applicazione diregole vecchie, mutuate per lo più dal sistema radiotelevisivo. Questo è un Paese che proprio non può fare a meno della televisione, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti».


Il copyright, commenta l'avvocato Carlo Blengino del Centro Nexa per Internet&Società, "è distante mille miglia dai beni giuridici protetti dalle norme sulla pedo-pornografia e non è un diritto assoluto.  Sebbene io ritenga sia sempre stupido bruciare la casa per distruggere gli scarafaggi, almeno valutiamo cum grano salis che tipo di scarafaggi stiamo combattendo".

Blengino ricorda come la Corte Suprema degli Stati Uniti il 26 giugno 1997 dichiarò incostituzionaleil Communications Decency Act (il Titolo V del Telecommunications Act, ovvero la legge di riforma delle telecomunicazioni approvata dal Congresso nel 1996) che regolamentava i contenuti indecenti su Internet. Affermava la Corte: "Non è esagerato affermare che il contenuto di Internet è vario quanto il pensiero dell'uomo...I fatti accertati dimostrano che l'espansione di Internet è stata, e continua ad essere, fenomenale. E' tradizione della nostra giurisprudenza costituzionale presumere, in mancanza di prova contrarie, che la regolamentazione pubblica del contenuto delle manifestazioni del pensiero è più probabile che interferisca con il libero scambio delle idee piuttosto che incoraggiarlo. L'interesse a stimolare la libertà di espressione in una società democratica è superiore a qualunque preteso, non dimostrato, beneficio della censura". 


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