giovedì 4 agosto 2011

Etica della Comunicazione

Secondo una recentissima’indagine promossa dal Forum delle associazioni Familiari il tempo medio giornaliero, espresso in minuti, di utilizzo dei vari strumenti di comunicazione nella fascia tra 7 e 18 anni è il seguente:
Radio, cinema fumetti, libri: 50
Tv: 97
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 271
Nella fascia 15-18 anni è ancora più accentuata la prevalenza dei nuovi media digitali:
Radio, cinema fumetti, libri: 56
Tv: 99
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 455
Uno studente del triennio delle superiori guarda la tv per un’ora e mezza al giorno e sta sui media digitali quasi 8 ore. Dato per scontato che alcuni media si sovrappongono, resta il fatto che la punta massima di utilizzo di tutti i vari mezzi la si ritrova nei diciassettenni che passano in questi ambienti quasi 12 ore al giorno, cioè sostanzialmente l’intera giornata da svegli.
Tra le tante possibili considerazioni ne proponiamo tre.
La prima riguarda la pervasività dell’ambiente comunicativo mediato dalla tecnologia, un elemento ormai irrinunciabile dei nostri “paesaggi mentali”. Dovrebbe far riflettere il fatto che la partita decisiva per il controllo del consenso in ambito politico e sociale si manifesta attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione (stampa e televisione in particolare). Nel nostro Paese si è imposto un  oligopolio televisivo e poche galassie editoriali, con problematiche che rimandano anche ad aspetti giudiziari. Anche all’estero vediamo quanto sia attuale questa problematica: non solo chiude “News of the World” dopo una carriera plurisecolare, ma gli scandali dell’informazione manipolata trascinano con sé molte altre situazioni.
Al di là degli aspetti giudiziari - e molto prima di essi - si pone una questione culturale e di formazione. È importante stabilire regole di democrazia nell’ambiente fisico (abitazioni, strade, ospedali…), ma non meno importante è prendersi cura della “etica della comunicazione” (editoria, tv, internet, cinema, ecc.).  Dovrebbe essere evidente che non basta possedere un terreno (o i soldi per acquistarlo) per poterci costruire a proprio piacimento o svolgervi attività in contrasto con la legge e il bene comune. Allo stesso modo avere la disponibilità economica o politica non dà il diritto di manipolare i media per costruire e mantenere il consenso, o vendere in modo indiscriminato i propri “prodotti”.
La seconda considerazione riguarda il ruolo della scuola. Se un ragazzo che frequenta la quarta superiore dichiara di usare i media per 11,5 ore al giorno c’è da chiedersi non solo quando studia, ma anche cosa fa quando è “fisicamente” è presente a scuola e, probabilmente, non lo è con la mente. Si ha l’impressione che lo scarto tra l’impostazione delle nostre scuole e il mondo mentale degli studenti sia diventando sempre più grande. In questo mese il governo della Corea del Sud ha deciso la digitalizzazione completa di tutti i libri di testo e altro materiale didattico dal 2015, in tutti gli ordini di scuole. Non sappiamo se sarà una scelta giusta, esistono certamente pro e contro. Tuttavia è il segno che si avverte il problema. Certamente non basta fornire tutti gli studenti di un medium digitale ma neppure basta rifugiarsi nella difesa generica del libro cartaceo, condannandolo alla insignificanza. C’è un grosso lavoro da fare per permettere il passaggio da una civiltà all’altra.
La terza considerazione è per le famiglie e per le associazioni, anche ecclesiali. Esiste una grande questione educativa che rimane aperta e di cui non c’è adeguata percezione. Come sempre, la questione educativa non è relativa solo ai giovani, ma coinvolge prima di tutto gli adulti. Non basta trovarsi “amici” su Facebook per realizzare un autentico dialogo educativo o per essere all’altezza delle competenze richieste dalla “società della comunicazione”.
Sono tre sfide che non si possono affrontare con gli anatemi o con facili entusiasmi; è indubbio che richiedano impegno, studio, confronto, sperimentazione, verifica, spirito di collaborazione. Ci auguriamo che il contributo del corso di Etica della comunicazione, aperto a partire dal prossimo anno accademico presso l’Issr di Arezzo, possa andare in questa direzione.

Perché un corso di Etica della comunicazione presso l’Issr di Arezzo

Viviamo in un mondo saturo di parole, di immagini, di informazione. Un mondo nel quale i circuiti elettronici sono sempre accesi, gli strumenti della comunicazione sono sempre più piccoli, pervasivi: una estensione del nostro corpo, dei nostri organi di senso, della nostra mente.  Siamo immersi in una galassia mediatica nella quale più mezzi di comunicazione sono presenti nello stesso istante a sollecitare la nostra attenzione.
Tutto questo basta a renderlo anche un mondo ricco di comunicazione? Siamo protagonisti, testimoni o vittime del moltiplicarsi di strumenti, occasioni, luoghi del comunicare? Dobbiamo aspettarci un cambiamento radicale nei modi di conoscere e strutturare il mondo, le relazioni con gli altri, noi stessi e il nostro destino?
Queste e altre domande si affacciano da qualche anno nella mente di tutti noi: figli e padri, giovani e di età matura, studenti e insegnanti, credenti e non credenti. Forse lo fanno in maniera diversa: ci sono i “nativi digitali” per i quali l’immersione nella osmosi comunicativa è un dato di fatto e la perenne connessione alla rete un dato fisiologico. Per essi il lento apprendistato concettuale, la sistematica lettura dei testi, l’ascolto ininterrotto di una argomentazione e di una dimostrazione sono non solo lontani ma spesso incomprensibili. Accanto a loro, come in un altro mondo, ci sono le generazioni più mature che al massimo sono “immigrati digitali”. A queste persone sembra che il filo della memoria si spezzi, che il patrimonio culturale elaborato in secoli si perda, che il mondo si stia banalizzando.

Probabilmente alle generazioni attuali è affidato un compito decisivo: realizzare un ponte, un passaggio, una interfaccia tra differenti modalità di percepire il mondo, sviluppare strategie conoscitive, elaborare etiche della convivenza e della relazione.
Occorre riflettere sull’importanza della comunicazione nella costituzione stessa della persona umana. Dobbiamo intraprendere un viaggio, per molti aspetti affascinante, che ci porti a scoprire l’enorme ricchezza racchiusa in quello che spesso giudichiamo ovvio e degno di poca attenzione, nonché le potenzialità di quel “nuovo” che a volte ci intimorisce. Scoprendo magari di essere chiamati a una interpretazione etica, politica e religiosa della comunicazione, anche negli aspetti frettolosamente definiti “tecnologici”.

La comunicazione rappresenta la struttura profonda della persona umana. Secondo la Bibbia è il linguaggio a connaturare in maniera specifica l’essere umano. Il soffio divino (Genesi 2,7) rende l’uomo «un essere vivente»; nel servizio religioso della sinagoga si rende questa espressione così: lo rese «uno spirito parlante». Il modello primo della comunicazione è il modello trinitario: tre Persone distinte ma della stessa Sostanza. In altri termini: la comunicazione è tale se mantiene le diversità (evitando la confusione indistinta della omologazione) e garantisce la capacità di entrare in contatto. Dal punto di vista antropologico questa verità profonda si sviluppa nell’evitare due errori contrapposti. Il primo è quello di immaginare la possibilità della comunicazione umana come standardizzazione e prevalenza di un solo modello culturale. Il secondo errore è speculare e altrettanto grave: pensare che difendere la propria autonomia sia credere alla propria autosufficienza, che l’orgoglio per la propria identità comporti la negazione delle identità altrui, che la lotta per la sopraffazione, la divisione del mondo fisico e di quello mentale in cittadelle fortificate siano il destino dell’umanità.

In realtà il desiderio di comunicazione è impresso nel profondo di noi stessi. Esso è anche il motore dell’apprendimento: tutte le ricerche – e l’esperienza di qualsiasi educatore – mostrano come sia indispensabile la collaborazione di chi apprende, la sua attenzione. Già il bambino chiede «Cosa è questa cosa?» e si attende una risposta dall’adulto. Senza la disponibilità del bambino al dialogo tutto il sapere dell’adulto sarebbe insufficiente a generare conoscenza. Ancora una volta dobbiamo rifarci a un modello teologico. A un Dio che è trinitario, quindi intrinsecamente comunicazione, un Dio che è persona, al quale ci si possa rivolgere con il tu. Aristotele, che pure descrive un Dio buono, potente ed eterno, non usa il tu della comunicazione, come farà invece Agostino scrivendo alla seconda persona singolare l’intero libro delle Confessioni. Anche da un punto di vista più strettamente sociologico si fa strada la percezione che attraverso il modello trinitario proposto dal cristianesimo sia possibile mettere insieme laicità e multiculturalità, identità e integrazione.

La rivoluzione digitale ha accentuato l’importanza di quelli che ormai impropriamente continuiamo a chiamare “mezzi” della comunicazione. Dovremmo abituarci a ragionare in termini di “ambienti” nei quali siamo immersi e nei quali viviamo. Ambienti che vanno curati. Non sempre la nostra consapevolezza e la nostra riflessione culturale (e di conseguenza la nostra azione formativa) sono adeguate. Il cosiddetto “Web 2.0” rappresenta un incremento dei rapporti sociali o un loro impoverimento? Il giornalismo migliora o peggiora nell’era di internet? La privacy può essere difesa o appartiene ormai a un passato remoto? La guerra per il diritto di autore è la difesa della proprietà intellettuale o del potere dell’industria culturale? Si può fare formazione o addirittura pastorale attraverso la Rete? Lo schermo del monitor è uno “schermo” anche dalla vita o un luogo di condivisione?

L’Istituto di Scienze Religiose di Arezzo ha accettato la sfida proposta da queste e molte altre domande oggi sempre più frequenti. Un Istituto non è solo il luogo dove si svolgono delle “lezioni”. Il sapere non ha a che fare con la trasmissione di concetti, ma con la trasformazione delle persone coinvolte nel processo formativo. Un Istituto è un luogo di ricerca culturale, di confronto con i saperi e con le prassi del mondo contemporaneo. Ben consapevole che lo studio adeguatamente affrontato non allontana dalla vita ma si intreccia con essa. Se leggendo in una pagina vediamo solo la carta dietro l’inchiostro delle parole significa che non abbiamo studiato adeguatamente. Se leggiamo davvero con attenzione accade una cosa importante: sotto l’inchiostro la carta si trasforma, diventa a poco a poco un cristallo che ci fa vedere con più trasparenza la realtà.

È quanto ci auguriamo possa avvenire con gli studenti dell’Issr “Beato Gregorio X”. Il corso di Etica della comunicazione si colloca dentro un percorso culturale che integra in modo armonioso e vicendevole i saperi teologici, biblici, filosofici, pedagogici e sociologici. Si tratta di preparare persone in grado di “rendere ragione” della propria fede in contesti diversi e di porsi al servizio - in varie forme - della stessa esigenza educativa di fondo. D’altra parte l’Issr è ben consapevole di vivere all’interno della comunità più ampia della Diocesi, mettendosi a disposizione delle esigenze di realtà molteplici. Da questo punto di vista appare particolarmente significativa la collaborazione con la Fondazione Telesandomenico, tesa a sviluppare una sempre maggiore integrazione tra tutti gli “ambienti” comunicativi della Diocesi: la televisione, la radio, internet e naturalmente la stampa con la stessa “Toscana Oggi”. Fare comunicazione, riflettere sulla comunicazione, offrire strumenti e luoghi per una crescita sempre più consapevole. Non a caso accanto ai corsi istituzionali l’Issr è intenzionato ad offrire momenti di riflessione a una più vasta gamma di persone. Non solo in ambito ecclesiale: l’etica della comunicazione coinvolge tutti, sia come credenti che come cittadini. Ci auguriamo che sia anche il luogo di un dialogo, sereno e autenticamente “laico”, con tutte le persone e le istituzioni animate da un sincero interesse per la qualità della convivenza civile.

venerdì 15 luglio 2011

Copyright o monopolio dell'industria dell'intrattenimento?

La Stampa

L'innovazione tecnologica sta imponendo nuovi modelli industriali, le catene del valore cambiano e cosa succede? Si risponde con l'applicazione diregole vecchie, mutuate per lo più dal sistema radiotelevisivo. Questo è un Paese che proprio non può fare a meno della televisione, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti».


Il copyright, commenta l'avvocato Carlo Blengino del Centro Nexa per Internet&Società, "è distante mille miglia dai beni giuridici protetti dalle norme sulla pedo-pornografia e non è un diritto assoluto.  Sebbene io ritenga sia sempre stupido bruciare la casa per distruggere gli scarafaggi, almeno valutiamo cum grano salis che tipo di scarafaggi stiamo combattendo".

Blengino ricorda come la Corte Suprema degli Stati Uniti il 26 giugno 1997 dichiarò incostituzionaleil Communications Decency Act (il Titolo V del Telecommunications Act, ovvero la legge di riforma delle telecomunicazioni approvata dal Congresso nel 1996) che regolamentava i contenuti indecenti su Internet. Affermava la Corte: "Non è esagerato affermare che il contenuto di Internet è vario quanto il pensiero dell'uomo...I fatti accertati dimostrano che l'espansione di Internet è stata, e continua ad essere, fenomenale. E' tradizione della nostra giurisprudenza costituzionale presumere, in mancanza di prova contrarie, che la regolamentazione pubblica del contenuto delle manifestazioni del pensiero è più probabile che interferisca con il libero scambio delle idee piuttosto che incoraggiarlo. L'interesse a stimolare la libertà di espressione in una società democratica è superiore a qualunque preteso, non dimostrato, beneficio della censura". 


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mercoledì 13 luglio 2011

Chi abita i nostri paesaggi mentali

Secondo un’indagine promossa nel 2011 dal Forum delle associazioni Familiari (vedi Il Sole 24 Ore Scuola 13 (2011), il tempo medio giornaliero, espresso in minuti, di utilizzo dei vari strumenti di comunicazione è il seguente, nella fascia tra 7 e 18 anni
Radio, cinema fumetti, libri: 50
Tv: 97
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 271
Nella fascia 15-18 anni è ancora più accentuata la prevalenza dei nuovi media digitali:
Radio, cinema fumetti, libri: 56
Tv: 99
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 455

Il che significa che uno studente del triennio delle superiori guarda la tv per un’ora e mezza al giorno e sta sui media digitali quasi 8 ore. Dato per scontato che alcuni media si sovrappongono, resta il fatto che la punta massima di utilizzo di tutti i vari mezzi è per i diciassettenni che passano in questi ambienti quasi 12 ore al giorno, cioè sostanzialmente l’intera giornata da svegli.

Tra le tante possibili considerazioni ne propongo due.

La prima riguarda la pervasività dell’ambiente comunicativo mediato dalla tecnologia, un elemento ormai irrinunciabile dei nostro paesaggi mentali. Dovrebbe far riflettere il fatto che la partita decisiva per il controllo del consenso in Italia si è manifestata attraverso l’acquisizione dell’oligopolio televisivo negli anni Ottanta (quando un presidente del consiglio come Craxi tornava precipitosamente dall’estero per bloccare le ordinanze della magistratura sul divieto di trasmissione tv) a quello della galassia editoriale con il lodo Mondadori il quale, a distanza di venti anni, fa notoriamente ancora parlare di sé. È importante stabilire regole di democrazia nell’ambiente fisico (abitazioni, strade, ospedali…), ma non meno importante è prendersi cura della democrazia nei nostri paesaggi mentali (editoria, tv, internet, cinema, ecc.). dovrebbe essere assodato che non basta possedere un terreno (o i soldi per acquistarlo) per poterci costruire a proprio piacimento o svolgervi attività in contrasto con la legge e il bene comune. Allo stesso modo avere la disponibilità economica o politica non dà il diritto di manipolare i media per costruire e mantenere il consenso, o vendere in modo indiscriminato i propri “prodotti”.

Anche all’estero vediamo quanto sia attuale questa problematica: Murdoch chiude “News of the World” dopo una carriere plurisecolare, travolto dagli scandali delle intercettazioni illegali e anche dalla maggior convenienza di altri media.



La seconda considerazione riguarda il ruolo della scuola. Se un ragazzo che frequenta la quarta superiore dichiara di usare i media per 11,5 ore al giorno c’è da chiedersi non solo quando studia, ma anche cosa fa quando è fisicamente a scuola. Nonostante qualche sforzo generoso e una certa retorica ministeriale, si ha l’impressione che lo scarto tra l’impostazione delle nostre scuole e il mondo mentale degli studenti sia diventando sempre più grande.

Nel luglio 2011 il governo della Corea del Sud ha deciso (come riporta tra gli altri Technology Review del MIT di Boston) la digitalizzazione completa di tutti i libri di testo e altro materiale didattico dal 2015. una decisione che riguarda tutti gli ordini di scuole: dalle elementari all’università. Gli studenti useranno solo tablet, smartphone o notebook. Non sappiamo se sarà una scelta giusta, esistono certamente pro e contro. Tuttavia è una scelta, in grado di mettere in moto un cambiamento o meglio di rispondere a un cambiamento già in atto. Certamente non basta fornire tutti gli studenti di un medium digitale (sarà molto contenta Samsung), ma neppure basta rifugiarsi nella difesa generica del libro cartaceo, condannandolo alla insignificanza. C’è un grosso lavoro da fare per permettere il passaggio da una civiltà all’altra.

sabato 11 giugno 2011

Presentazione di "ComunICare" nella rubrica "In primo piano" TSD

Presentazione del libro  "ComunICare. Prendersi cura nel tempo della rivoluzione digitale" (Ave, Roma 2011, 8 euro).
Trasmissione "Primo Piano "TSD condotta da Andrea Fagioli



mercoledì 25 maggio 2011

Scuola e rivoluzione digitale

Rupert Murdoch è intervenuto su scuola e digitale al Forum e-G8 a Parigi. Una visione con non poche ambiguità, ma per l'appunto si tratta di non lasciare le cose così come stanno, altrimenti è troppo facile per i grandi monopoli impossessarsi anche della scuola. Che non deve ritrovarsi a scegliere tra un polveroso passato e un futuro "embedded" nel sistema dei media.


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8773&ID_sezione=&sezione=

lunedì 23 maggio 2011

Lingua e mondo

Per dire “che cosa mia significa” i britannici usano l’espressione Whaton earth does that mean. I tedeschi Was in Himmel soll da bedeuten. Empirismo e idealismo filosofico. Gli americani non riescono a capire la bellezza frastagliata dell’Europa. L’umorista americano P.J. O’Rourke lamentava la proliferazione europei di “piccoli paesi insulsi”. “Persino le lingue sono esigue. A volte ne servono due o tre per arrivare all’ora di pranzo”.
La diversità linguistica è un valore.

lunedì 25 aprile 2011

Posti di lavoro della new economy?

Credevamo che i reality fossero un modo per riempire il palinsesto a basso costo.
In un certo senso è così, ma fa una certa impressione conoscere i dati di GF:
- 74 telecamere e 74 monitor accesi non stop
- centinaia di microfoni
- 600 dipendenti
- 10 autori (questa è una delle cifre più godibili)
- tecnici e assistenti per il taglio e il montaggio delle riprese.

Gli autori (che dichiarano sempre che i concorrenti sono spontanei e per niente guidati) hanno fondato l'Anart, difendendo il loro "lavoro" e premendo perchè sia riconosciuto come "creativi".

La Maria di Amici intanto ha rimproverato  una insegnante della giuria presentatasi senza una specifica acconciatura perchè "mancava di rispetto ai telespettatori". Ci insegnano il bon ton, evviva.

Andiamo a mangiare un po' di cioccolato dell'uovo di Pasqua...

sabato 23 aprile 2011

I lavori culturali sono un valore per la società, per questo devono essere liberi da copyright


Chi è Amelia Andersdotter? Ha cercato di scoprirlo Anna Masera, caporedattore delastampa.it  intervistandola davanti alla platea del Teatro Carignano.
La più giovane deputata dell’Europarlamento (ha 23 anni), Amelia fa parte del partito svedese Piratpartiet, forte sostenitore dell’eliminazione del copyright sulle cosiddette opere d’ingegno. “I lavori culturali sono un valore per la società, per questo devono essere liberi da copyright”, sostiene l’eurodeputata. Secondo Amelia, la governance di Internet è stata gestita male dei governi: “Prendiamo l’industria musicale; il cambiamento ha portato ad accordi occulti tra case discografiche e provider. Questa è una cospirazione contro gli utenti”.
Insomma, la democrazia per Amelia è la rete libera. Ma come risolvere allora il problema della valorizzazione delle opere di cultura? “Io propongo diverse cose, come i finanziamenti pubblici o una tassa per Internet che permetta la navigazione libera di tutti i suoi contenuti”.
Nel dialogo con Anna Masera, è emerso come la Svezia sia un esempio per tutta l’Europa in termini di normativa sulle telecomunicazioni, grazie anche al partito di Amelia. E in Italia? Abbiamo bisogno di un Piratpartiet? “L’importante non è il nome ma le idee che ci sono alla base, risponde l’eurodeputata”. E conclude: “Magari voi non ne avete bisogno come noi. Magari avete altre priorità, come cercare di tenere su i governi”.
Carlotta Addante, Master in Giornalismo Torino

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venerdì 22 aprile 2011

Il marketing della manipolazione

Forse non tutti sanno - nemmeno io sino ad oggi - che la trasmissione tv  "Grande Fratello" non è solo ripresa in mille occasioni nel video, ma è dotata anche di una sua "rivista ufficiale", un settimanale ormai in edicola da diversi anni.
Naturalmente un'altra creatura Endemol, altra galassia di persone coinvolte a vario titolo nella realizzazione, pubblicità e servizi prevedibili sui personaggi e le loro vicende.
Solo che, ancora una volta, è quello che nel libro "ComunICare" chiamo mood ad essere importante. ogni cosa rimanda a un'altra, generando un universo chiuso, asfittico, che dà molto bene conto - se ci pensiamo con un minimo di distacco - di come sia pensato l'utente medio italiano della tv.
In sintesi: un bambino un po' scemo cui rubare con facilità la caramella.
Mentre cerchiamo di non pagare le tasse, magari riuscendoci in parte e ammirando chi lo fa per davvero con grandi numeri, paghiamo sotto altra forma molte altre "tasse".
Ad esempio: "Hai sempre voluto lasciare un segno del tuo amore. oggi puoi lasciarne uno indelebile". come? "Incidendo il tuo nome nel nuovo stadio della Juventus". "Accanto ai tuoi campioni di sempre. Lascerai un segno davvero speciale dell'amore che provi per la tua squadra del cuore. Affrettati: i posti sono limitati e non puoi mancare proprio tu". Per informazioni chiama il numero ******* (naturalmente anch'esso a pagamento). La nota dice "Servizio a carattere sociale", importo sino a 15 euro.

I testi sono di una banalità disarmante ma attenzione: c'è anche la pagina della psicologa, regolarmente iscritta all'albo e anzi Presidente dell'Associazione Italiana di Sessuologia Clinica.  Alla pagina accanto una pubblicità mascherata da articolo spiega "Come ritornare ad essere felici", con l'86% dei casi risolti (così pagheremo e in più ci sentiremo sfigati per essere rientrati nel misero 14% dei casi non risolti). Il bel numero teloefonico in evidenza ci porta a "L?astrologo risponde". Il numero è segnalato dall'espressione "Servizio professionale", che però non significa "fatto con professionalità", ma - ancora una volta - con un elevato costo di chiamata. Un altro numero è pronto "con carta di credito o postpay". Ma puoi addirittura avere gratis l'oroscopo sul tuo cellulare via sms (pensa: gli fornisci un dato riservato e ti sembra di aver ricevuto un regalo).

Una ex concorrente dimostra molti interessi culturali. Vuol laurearsi in Filosofia, chiede una tesi su di una Onlus che si occupa di adozioni a distanza. Il professore - per fortuna - le fa capire che non è così che funziona, ma lei si lamenta.

Insomma, questi sono i tempi. Ma non è un problema solo di buon gusto. E' anche un problema politico. Denaro drenato verso caste e oligarchie, e armi di distrazione e di massa.

lunedì 11 aprile 2011

Il libro è stato pubblicato

Comun I Care
Prendersi cura al tempo della rivoluzione digitale"
è stato pubblicato da Ave (Roma), ed è disponibile!



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domenica 30 gennaio 2011

I miei libri

Pubblicato il 2 aprile 2011:
ComunICare
Prendersi cura nel tempo della rivoluzione digitale
Ave 2011




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Libri di Anselmo Grotti in libreria


Comunicare - Prendersi cura nel tempo della rivoluzione digitale

E' stato appena pubblicato (2 aprile 2011) per la casa editrice Ave il testo

Comun I Care
Prendersi cura nel tempo della rivoluzione digitale
Roma, Ave 2011, 174 pagine, 8 euro.