giovedì 4 agosto 2011

Etica della Comunicazione

Secondo una recentissima’indagine promossa dal Forum delle associazioni Familiari il tempo medio giornaliero, espresso in minuti, di utilizzo dei vari strumenti di comunicazione nella fascia tra 7 e 18 anni è il seguente:
Radio, cinema fumetti, libri: 50
Tv: 97
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 271
Nella fascia 15-18 anni è ancora più accentuata la prevalenza dei nuovi media digitali:
Radio, cinema fumetti, libri: 56
Tv: 99
Podcast, Cellulare, Web, Videogiochi, ecc.: 455
Uno studente del triennio delle superiori guarda la tv per un’ora e mezza al giorno e sta sui media digitali quasi 8 ore. Dato per scontato che alcuni media si sovrappongono, resta il fatto che la punta massima di utilizzo di tutti i vari mezzi la si ritrova nei diciassettenni che passano in questi ambienti quasi 12 ore al giorno, cioè sostanzialmente l’intera giornata da svegli.
Tra le tante possibili considerazioni ne proponiamo tre.
La prima riguarda la pervasività dell’ambiente comunicativo mediato dalla tecnologia, un elemento ormai irrinunciabile dei nostri “paesaggi mentali”. Dovrebbe far riflettere il fatto che la partita decisiva per il controllo del consenso in ambito politico e sociale si manifesta attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione (stampa e televisione in particolare). Nel nostro Paese si è imposto un  oligopolio televisivo e poche galassie editoriali, con problematiche che rimandano anche ad aspetti giudiziari. Anche all’estero vediamo quanto sia attuale questa problematica: non solo chiude “News of the World” dopo una carriera plurisecolare, ma gli scandali dell’informazione manipolata trascinano con sé molte altre situazioni.
Al di là degli aspetti giudiziari - e molto prima di essi - si pone una questione culturale e di formazione. È importante stabilire regole di democrazia nell’ambiente fisico (abitazioni, strade, ospedali…), ma non meno importante è prendersi cura della “etica della comunicazione” (editoria, tv, internet, cinema, ecc.).  Dovrebbe essere evidente che non basta possedere un terreno (o i soldi per acquistarlo) per poterci costruire a proprio piacimento o svolgervi attività in contrasto con la legge e il bene comune. Allo stesso modo avere la disponibilità economica o politica non dà il diritto di manipolare i media per costruire e mantenere il consenso, o vendere in modo indiscriminato i propri “prodotti”.
La seconda considerazione riguarda il ruolo della scuola. Se un ragazzo che frequenta la quarta superiore dichiara di usare i media per 11,5 ore al giorno c’è da chiedersi non solo quando studia, ma anche cosa fa quando è “fisicamente” è presente a scuola e, probabilmente, non lo è con la mente. Si ha l’impressione che lo scarto tra l’impostazione delle nostre scuole e il mondo mentale degli studenti sia diventando sempre più grande. In questo mese il governo della Corea del Sud ha deciso la digitalizzazione completa di tutti i libri di testo e altro materiale didattico dal 2015, in tutti gli ordini di scuole. Non sappiamo se sarà una scelta giusta, esistono certamente pro e contro. Tuttavia è il segno che si avverte il problema. Certamente non basta fornire tutti gli studenti di un medium digitale ma neppure basta rifugiarsi nella difesa generica del libro cartaceo, condannandolo alla insignificanza. C’è un grosso lavoro da fare per permettere il passaggio da una civiltà all’altra.
La terza considerazione è per le famiglie e per le associazioni, anche ecclesiali. Esiste una grande questione educativa che rimane aperta e di cui non c’è adeguata percezione. Come sempre, la questione educativa non è relativa solo ai giovani, ma coinvolge prima di tutto gli adulti. Non basta trovarsi “amici” su Facebook per realizzare un autentico dialogo educativo o per essere all’altezza delle competenze richieste dalla “società della comunicazione”.
Sono tre sfide che non si possono affrontare con gli anatemi o con facili entusiasmi; è indubbio che richiedano impegno, studio, confronto, sperimentazione, verifica, spirito di collaborazione. Ci auguriamo che il contributo del corso di Etica della comunicazione, aperto a partire dal prossimo anno accademico presso l’Issr di Arezzo, possa andare in questa direzione.

Perché un corso di Etica della comunicazione presso l’Issr di Arezzo

Viviamo in un mondo saturo di parole, di immagini, di informazione. Un mondo nel quale i circuiti elettronici sono sempre accesi, gli strumenti della comunicazione sono sempre più piccoli, pervasivi: una estensione del nostro corpo, dei nostri organi di senso, della nostra mente.  Siamo immersi in una galassia mediatica nella quale più mezzi di comunicazione sono presenti nello stesso istante a sollecitare la nostra attenzione.
Tutto questo basta a renderlo anche un mondo ricco di comunicazione? Siamo protagonisti, testimoni o vittime del moltiplicarsi di strumenti, occasioni, luoghi del comunicare? Dobbiamo aspettarci un cambiamento radicale nei modi di conoscere e strutturare il mondo, le relazioni con gli altri, noi stessi e il nostro destino?
Queste e altre domande si affacciano da qualche anno nella mente di tutti noi: figli e padri, giovani e di età matura, studenti e insegnanti, credenti e non credenti. Forse lo fanno in maniera diversa: ci sono i “nativi digitali” per i quali l’immersione nella osmosi comunicativa è un dato di fatto e la perenne connessione alla rete un dato fisiologico. Per essi il lento apprendistato concettuale, la sistematica lettura dei testi, l’ascolto ininterrotto di una argomentazione e di una dimostrazione sono non solo lontani ma spesso incomprensibili. Accanto a loro, come in un altro mondo, ci sono le generazioni più mature che al massimo sono “immigrati digitali”. A queste persone sembra che il filo della memoria si spezzi, che il patrimonio culturale elaborato in secoli si perda, che il mondo si stia banalizzando.

Probabilmente alle generazioni attuali è affidato un compito decisivo: realizzare un ponte, un passaggio, una interfaccia tra differenti modalità di percepire il mondo, sviluppare strategie conoscitive, elaborare etiche della convivenza e della relazione.
Occorre riflettere sull’importanza della comunicazione nella costituzione stessa della persona umana. Dobbiamo intraprendere un viaggio, per molti aspetti affascinante, che ci porti a scoprire l’enorme ricchezza racchiusa in quello che spesso giudichiamo ovvio e degno di poca attenzione, nonché le potenzialità di quel “nuovo” che a volte ci intimorisce. Scoprendo magari di essere chiamati a una interpretazione etica, politica e religiosa della comunicazione, anche negli aspetti frettolosamente definiti “tecnologici”.

La comunicazione rappresenta la struttura profonda della persona umana. Secondo la Bibbia è il linguaggio a connaturare in maniera specifica l’essere umano. Il soffio divino (Genesi 2,7) rende l’uomo «un essere vivente»; nel servizio religioso della sinagoga si rende questa espressione così: lo rese «uno spirito parlante». Il modello primo della comunicazione è il modello trinitario: tre Persone distinte ma della stessa Sostanza. In altri termini: la comunicazione è tale se mantiene le diversità (evitando la confusione indistinta della omologazione) e garantisce la capacità di entrare in contatto. Dal punto di vista antropologico questa verità profonda si sviluppa nell’evitare due errori contrapposti. Il primo è quello di immaginare la possibilità della comunicazione umana come standardizzazione e prevalenza di un solo modello culturale. Il secondo errore è speculare e altrettanto grave: pensare che difendere la propria autonomia sia credere alla propria autosufficienza, che l’orgoglio per la propria identità comporti la negazione delle identità altrui, che la lotta per la sopraffazione, la divisione del mondo fisico e di quello mentale in cittadelle fortificate siano il destino dell’umanità.

In realtà il desiderio di comunicazione è impresso nel profondo di noi stessi. Esso è anche il motore dell’apprendimento: tutte le ricerche – e l’esperienza di qualsiasi educatore – mostrano come sia indispensabile la collaborazione di chi apprende, la sua attenzione. Già il bambino chiede «Cosa è questa cosa?» e si attende una risposta dall’adulto. Senza la disponibilità del bambino al dialogo tutto il sapere dell’adulto sarebbe insufficiente a generare conoscenza. Ancora una volta dobbiamo rifarci a un modello teologico. A un Dio che è trinitario, quindi intrinsecamente comunicazione, un Dio che è persona, al quale ci si possa rivolgere con il tu. Aristotele, che pure descrive un Dio buono, potente ed eterno, non usa il tu della comunicazione, come farà invece Agostino scrivendo alla seconda persona singolare l’intero libro delle Confessioni. Anche da un punto di vista più strettamente sociologico si fa strada la percezione che attraverso il modello trinitario proposto dal cristianesimo sia possibile mettere insieme laicità e multiculturalità, identità e integrazione.

La rivoluzione digitale ha accentuato l’importanza di quelli che ormai impropriamente continuiamo a chiamare “mezzi” della comunicazione. Dovremmo abituarci a ragionare in termini di “ambienti” nei quali siamo immersi e nei quali viviamo. Ambienti che vanno curati. Non sempre la nostra consapevolezza e la nostra riflessione culturale (e di conseguenza la nostra azione formativa) sono adeguate. Il cosiddetto “Web 2.0” rappresenta un incremento dei rapporti sociali o un loro impoverimento? Il giornalismo migliora o peggiora nell’era di internet? La privacy può essere difesa o appartiene ormai a un passato remoto? La guerra per il diritto di autore è la difesa della proprietà intellettuale o del potere dell’industria culturale? Si può fare formazione o addirittura pastorale attraverso la Rete? Lo schermo del monitor è uno “schermo” anche dalla vita o un luogo di condivisione?

L’Istituto di Scienze Religiose di Arezzo ha accettato la sfida proposta da queste e molte altre domande oggi sempre più frequenti. Un Istituto non è solo il luogo dove si svolgono delle “lezioni”. Il sapere non ha a che fare con la trasmissione di concetti, ma con la trasformazione delle persone coinvolte nel processo formativo. Un Istituto è un luogo di ricerca culturale, di confronto con i saperi e con le prassi del mondo contemporaneo. Ben consapevole che lo studio adeguatamente affrontato non allontana dalla vita ma si intreccia con essa. Se leggendo in una pagina vediamo solo la carta dietro l’inchiostro delle parole significa che non abbiamo studiato adeguatamente. Se leggiamo davvero con attenzione accade una cosa importante: sotto l’inchiostro la carta si trasforma, diventa a poco a poco un cristallo che ci fa vedere con più trasparenza la realtà.

È quanto ci auguriamo possa avvenire con gli studenti dell’Issr “Beato Gregorio X”. Il corso di Etica della comunicazione si colloca dentro un percorso culturale che integra in modo armonioso e vicendevole i saperi teologici, biblici, filosofici, pedagogici e sociologici. Si tratta di preparare persone in grado di “rendere ragione” della propria fede in contesti diversi e di porsi al servizio - in varie forme - della stessa esigenza educativa di fondo. D’altra parte l’Issr è ben consapevole di vivere all’interno della comunità più ampia della Diocesi, mettendosi a disposizione delle esigenze di realtà molteplici. Da questo punto di vista appare particolarmente significativa la collaborazione con la Fondazione Telesandomenico, tesa a sviluppare una sempre maggiore integrazione tra tutti gli “ambienti” comunicativi della Diocesi: la televisione, la radio, internet e naturalmente la stampa con la stessa “Toscana Oggi”. Fare comunicazione, riflettere sulla comunicazione, offrire strumenti e luoghi per una crescita sempre più consapevole. Non a caso accanto ai corsi istituzionali l’Issr è intenzionato ad offrire momenti di riflessione a una più vasta gamma di persone. Non solo in ambito ecclesiale: l’etica della comunicazione coinvolge tutti, sia come credenti che come cittadini. Ci auguriamo che sia anche il luogo di un dialogo, sereno e autenticamente “laico”, con tutte le persone e le istituzioni animate da un sincero interesse per la qualità della convivenza civile.